Aristocrazia
ROMANZO
DI
VITTORIO BERSEZIO
Parte Prima
LA VENDETTA DI ZOE.
MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI.
1895
Seconda Edizione.
[3]
La stagione carnevalesca al ducale teatro diParma nell’inverno dall’anno 1853 all’anno 1854era, come s’usa dire, brillantissima. Quell’odiosotirannello che fu Carlo III di Borbonecredeva che potesse conferire a dare alla suapersona di piccolo principe alcuna maggiorgrandezza, al suo governo degno del pazzoEliogabalo alcuna luce di splendido fasto, l’averenel ricco teatro un sontuoso spettacolod’opera e di ballo, con artisti di prim’ordine,con apparati scenici di costosa eleganza. A ristaurareil teatro e farlo più sfarzoso di ornamentiche qualunque altro, il bravo duca avevaspeso oltre a un mezzo milione di lire; e ognianno una vistosa somma era profusa a procuraresu quelle scene spettacoli meravigliosi. Èvero che tutti i denari occorrenti a siffatte[4]spese venivano tolti con poco o nessun garbodalla borsa dei sudditi; ma il principe trovavaciò naturalissimo, piacevole, affatto d’accordocolla sua profonda convinzione che ilpopolo, così felice da essere affidato al suo reggimento,fosse stato creato apposta per soddisfarein ogni modo i gusti, le passioni, i capricci,le avidità, le curiosità del principe.
La sera da cui comincia il nostro raccontoera una delle ultime di carnevale. Il teatro erapienissimo: ad accrescere la folla degli spettatoriconcorreva la curiosità destata dal debuttodi una nuova prima ballerina venuta a sostituirequella della stagione, ammalatasi; ne’ palchettisi vedevano le più giovani ed elegantisignore, sulle cui troppo nude bellezze facevascorrere un cinico sguardo di conoscitore beffeggiantel’occhio vitreo del principe; sulla scenacontendevano l’attenzione sovrana alle deeolimpiche delle loggie le procaci sguaiatagginidelle ninfe del corpo di ballo, fatte venire quasitutte da Milano, le quali ostentavano trionfalmentel’opulenza delle loro forme lombarde;in platea la massa scura degli umili spettatori — popoloe ceto medio — vigilata sospettosamentedagli occhi grifagni e dai baffi ispididei gendarmi.
Il principe sedeva al parapetto della loggiaa destra del proscenio, al secondo ordine. Era[5]vestito con abiti cittadineschi, ma sulla cravattabianca spiccava il colore giallognolo delnastro del Toson d’oro; la sua testa piccola,piantata sopra un collo esile e lungo, come unragazzo fa d’una mela in cima ad una bacchetta,si voltava irrequieta a guardare la densaplatea, le dame, la scena, ad ascoltare le paroleche si scambiavano i cortigiani che stavanocon lui nella loggia. Di quando in quandoprendeva parte anche lui al chiacchiericcio, equasi sempre erano parole ciniche, invereconde,oscene che uscivano dalle sue labbra principesche,e riscuotevano l’onore di risa più sgangherate,più sguaiate delle solite, dal coro deisuoi seguaci.
Erano quasi tutti giovani, i quali, per darsil’aria di bravura militare, ostentavano il piglioprepotente; che avevano innanzi al duca, cuis’erano fatti servi, un sorriso da cortigiano,delle mosse da cane fidato, delle umiltà da vigliacc